Il suono della neve (seconda parte) (con Pickingyoumind)

 

(seconda parte)

 

***

 

“Ne è sicura?”

Ripeto agli agenti di polizia l’umiliante risposta: “Sì… Certo… Sono consenziente.”

Numerose macchine ci sfrecciano accanto. Dai finestrini tutti si voltano per osservarci. Per osservare me, soprattutto.

I lampeggianti della volante che ci ha fermato ed ora è davanti alla nostra auto sul bordo della statale ci illuminano ad intermittenza di un’irreale luce azzurra.

“Anche di quello?” Indica nel bagagliaio il plug anale che mi sono sfilata, a fatica, davanti ai loro occhi.

Mi stringo nella lurida coperta in cui mi hanno avvolta dopo avermi aiutata ad uscire e che in realtà mi copre solo fino ai fianchi. “Sí, anche di quello…”

Circa una mezz’ora prima che la pattuglia mi trovasse rinchiusa e brutalizzata nel bagagliaio, il sospettato aguzzino – e che cercavo loro di spiegare essere in realtà mio perverso complice – aveva rallentato e s’era fermata dopo quella che nel buio di quell’ambiente freddo e ristretto in cui ero incastrata sembrava essere stata un’eternità. Aveva spento il motore, era sceso, ed aveva chiuso con il telecomando.

Mi aveva lasciata lì dentro, sola nel silenzio, per una seconda parvente eternità. Poi improvvisamente il baule si era aperto inondando il mio corpo nudo, infreddolito e sporco, di luce e di gelo. “Ti ho comprato un regalino.” L’avevo visto con la coda dell’occhio scartare qualcosa di scuro e bombato. C’aveva versato sopra un liquido viscoso da un flaconcino. Poi la sua mano si era allungata verso il mio sedere e aveva appoggiato l’oggetto contro il mio ano. Me l’aveva spinto lentamente dentro. Aveva richiuso il baule, lasciandomi quel corpo estraneo enorme piantato nel retto, ed eravamo ripartiti.

“Ha con sé i suoi documenti d’identità?” mi chiede il poliziotto più anziano, palesemente poco convinto.

Mi volto a guardare lui, appoggiato alla portiera, smarrita.

 

***

 

L’eccitazione crescente, trasportando in auto una cagnetta di razza, a mia completa disposizione, mi aveva travolto, tanto da affollare ogni pensiero, rendendo minima la mia lucidità, comunque sempre ben presente.

Le canzoni di Simona Molinari, si succedevano ad un volume elevato, annullando ogni suono proveniente dall’esterno. Un jazz moderno, modulato da una voce capace di donare emozioni in più lingue. Ne aspettavo, con desiderio, un concerto in zona, per poterla ascoltare dal vivo.

Accanto a me la borsa della ragazza ed in una sacca di tela verde, spartana ma adatta allo scopo, ogni suo accessorio e vestito che le avevo fatto ripiegare con cura dentro. Non la sentivo muovere, né gridare, nemmeno quando rallentavo alle ormai frequenti rotonde della strada extraurbana, nemmeno un anelito per cercare aiuto, quando passavamo minuti, fermi ad un semaforo rosso, in mezzo al traffico dei piccoli paesi che venivano attraversati. Notevole la sua capacità di mantenere il controllo, ne ero molto soddisfatto.

Un’insegna aveva attirato la mia attenzione, indicava di svoltare a destra, pochi metri più avanti. Lasciai la macchina sul lato della strada, dopo averla chiusa con il telecomando che, docile, aveva emesso una serie di acuti bip, per confermare il mio ordine, serrando al sicuro un gioiello tanto prezioso.

Il sexy shop era ben fornito, una commessa ai limiti della decenza, per nulla invadente, ma molto disponibile, ascoltava ogni mia richiesta con movenze studiate e ripetitive; come sempre l’abito non fa il monaco ma, certamente, il suo completino succinto non lasciava nulla all’immaginazione: una quarta di seno ed un culo sodo erano le sue caratteristiche più evidenti, si facevano gustare ogni volta che si muoveva fra gli scaffali, per illustrare i prodotti in vendita.

La somma da pagare era adeguata a quanto scelto, saldai il conto per contanti, per non lasciare tracce inutilmente. Non mi avrebbe più rivisto. Un vero peccato, non poterla ritrovare in altro contesto, magari compagna di gioco della mia preda.

Aperta la macchina, posai quanto acquistato, prendendo quanto volevo usare subito: un giocattolo per farmi sentire dentro di lei e non lasciarla sola nel buio.

Per renderle meno doloroso l’inserimento, avevo scelto un lenimento fruttato, un “gel dell’amore” come usano chiamarli, utile per massaggi o ben altro, avrebbe reso l’accoglimento meno violento; mescolare la decisione con la dolcezza, mi permetteva di suscitare emozioni tanto contrastanti che scioglievano chi le provasse.

Avevo notato la sua smorfia di piacere, appena riempita, ma non dissi nulla, conoscendo molto bene la sua capacità di gustare ogni mia attenzione, anche quelle più perverse.

Ripartita la macchina, avevo seguito la strada verso la collina, dove in alto erano ancora presenti i fiocchi di neve. La notte avrebbe gelato la strada. Pensai alle catene, ordinatamente riposte vicino la testa della ragazza, una scatola di plastica gialla, sicuramente meno comoda di un cuscino di piume, per la possibilità di sbatterci la fronte, nei movimenti imprevisti della macchina.

La volante della polizia, poco più avanti, controllava la dotazione di gomme termiche o di altri mezzi adatti al maltempo, per evitare che stolti automobilisti procedessero senza alcuna attenzione. Lentamente avanzavo, nella lunga fila che si era formata, la strada stretta non permetteva una inversione ad U, speravo solo nel controllo a campione e di non trovarmi fra i prescelti: l’ultima cosa che desideravo era far vedere ad un agente dove le avevo riposte.

La paletta, tanto temuta, era mossa con lenta determinazione da una poliziotta, magra e bionda con i capelli molto corti che mi fece cenno di accostare a destra e rallentare vicino ad una volante, dove due uomini in divisa si avvicinavano ripetutamente alle auto, per verificare quanto necessario. Uno grassoccio e non tanto alto, l’altro atletico e ben palestrato.

Abbassai il finestrino, consegnando patente e libretto, come richiesto, per i controlli di rito. Mi chiesero delle catene, dopo aver notato le gomme tradizionali. Risposi che le avevo dietro, in bauliera, le avrei messe al bisogno. La richiesta fu esplicita e diretta: “ce le mostri”, omettendo il consueto “per favore”.

Scesi, mentre mi seguivano, cercai di aprire al minimo il portellone e di estrarre la valigetta richiesta, senza rendere visibile quanto altro trasportavo; nonostante i miei movimenti, era impossibile non notare la presenza della ragazza, appoggiata sopra la valigetta, oggetto di tanto interesse.

Quello grassoccio, il capo dei due, mi chiese minaccioso “Cosa fa questa donna qua dentro?” aggiungendo “Mi sa che lei deve spiegarci molte cose…”. Mi spinse, senza toccarmi, verso la portiera, solo con l’indicazione della mano, mentre l’altro agente parlava con la ragazza, inondata dalla luce.

Avevo dato un’occhiata di intesa alla fanciulla, appena intravista, sapevo tutto di lei. Sapeva benissimo cosa rischiava a non salvarmi da quello spiacevole impiccio. Ero certo che mi avrebbe tolto d’impiccio, accampando le scuse più fantasiose.

 

***

 

“Credo, credo che siano in macchina, nella mia borsa…”

“Li può prendere, per favore.” Non c’è punto interrogativo.

“Ci penso io”, dice lui con una tranquillità spiazzante. Si infila nell’abitacolo. Armeggia un po’ sul sedile, ne fuoriesce con la mia borsetta in mano e l’allunga ad uno dei due agenti.

È aperta. Strano, perché io la chiudo sempre.

“Sono nel portafoglio arancione…”

Il poliziotto ci infila una mano dentro e, nuovamente sorpreso, ne estrae un fallo artificiale di dimensioni inverosimili, marrone scuro, incredibilmente simile all’originale (mi chiedo se qualcuno particolarmente dotato l’abbia messo a disposizione per farne uno stampo o sia frutto di un modellatore di vero talento). I due agenti si scambiano uno sguardo ed assumono entrambi un’espressione piuttosto divertita.

Istintivamente mi viene da precisare che non è mio e non l’ho mai visto prima, ma mi trattengo. Lui, dietro di loro, mi sorride, con quell’espressione da vero stronzo che mi fa impazzire.

L’agente rimette nella mia borsetta il fallo e, come fosse uno stupido gioco di prestigio, ne tira fuori, tenendolo per un capo, un filo a cui è attaccata una lunga serie di sfere di varie dimensioni, il cui utilizzo è abbastanza lampante.

Mi guarda con una strana espressione. Abbasso lo sguardo.

Ripone anch’esso.

“Senti,” mi dice passando al tu, “ognuno è libero di divertirsi come gli pare…” Al collega scappa uno sbuffo. “Ma in auto devi stare sul sedile con la cintura. È la legge.” Mi squadra. Solo ora mi accorgo che, a differenza dell’altro, è decisamente bello, prestante e dai lineamenti gentili, ed è chiaro che sa di esserlo. “E in pubblico non puoi stare così.” Indica le parti scoperte del mio corpo, facendomi vergognare ulteriormente. “Dove hai i vestiti?”

Guardo di nuovo lui, a cui scommetto non dispiacerebbe vedermi in balia delle voglie sadiche di queste forze dell’ordine, molteplicemente penetrata dai loro membri prontamente estratti dalla cerniera della divisa, o magari sodomizzata dai loro manganelli…

Il suo sorriso si allarga, sembra dirmi “piacerebbe anche a te, mia cara”. Avrebbe ragione. Il solo pensiero inumidisce nuovamente il mio pertugio in quest’istante ben poco nascosto.

“Non ce li abbiamo”, mente lui. “É uscita così.”

“Hai qualcos’altro per coprirla?”

“No, niente.”

I due si guardano. È chiaro che non sanno cosa fare. Possono permettermi di proseguire il viaggio così?

Io tremo sempre più forte. Il calore ch’era arrivato nel bagagliaio durante la marcia e aveva finalmente allontanato il gelo della neve dal mio corpo è ormai scomparso.

“Dove stavate andando?” L’uso involontario dell’imperfetto mi inquieta non poco.

“A casa di amici, qui al prossimo paese.” Non so se stia dicendo la verità; ero convinta mi stesse portando a casa sua. “A lei piace farlo con più persone e io cerco solo di accontentarla.” Lo dice con una naturalezza che mi sconvolge. Io arrossisco come una bambina sorpresa a masturbarsi.

Sente l’ennesimo suo colpo basso anche la poliziotta, che dopo aver aspettato istruzioni dai colleghi parecchi metri dietro noi si è avvicinata e ora mi sta guardando disgustata. Vorrei credere sia invidia, ma a parte una dose forse eccessiva di mascolinità, non ha davvero nulla che credo vorrebbe cambiare con me.

“Questa sta morendo di freddo,” dice agli altri accennando a me; ho l’impressione che mi tratti istintivamente come niente più di un oggetto inanimato. “Che facciamo?”

Non mi dispiacerebbe, nella mia fantasia, che ci fosse anche lei a seviziarmi un po’…

I due agenti si guardano, poi il più aitante mi allunga la borsa e fa un cenno verso la macchina. “Andate. E ricorda quello che ti ho detto.”

Non lo ricordo già più, ma annuisco ugualmente e faccio un passo verso il posto accanto al guidatore. Poi mi giro di nuovo, come avessi dimenticato qualcosa.

“Questa?” Faccio per togliermi la coperta. Il poliziotto aspetta di vedermi nuovamente i seni prima di fermarmi con un gesto.

“Tienila. Se siamo ancora qui ce la riportate quando tornate indietro.”

Si starà chiedendo quanto può durate l’orgia che abbiamo millantato?

E l’avremo davvero solo millantata?

Ringrazio e sparisco nell’abitacolo.

Entra anche lui.

Mi guarda compiaciuto, mette in moto e riparte, salutando le forze dell’ordine.

 

Dieci secondi dopo mi ha già tirato via la coperta, ha già acceso la luce nell’abitacolo, e mi ha fatto spalancare le gambe.

 

***

 

(fine seconda parte)

 

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