Il sentiero

(con Alessandra Pizzirani)

I

La salita degrada e finalmente arriviamo al punto in cui convergono i quattro sentieri. Ci ritroviamo davanti ad una di quelle indicazioni in legno che puntano in ogni direzione possibile e che si sente la necessità irresistibile di fotografare.

Click.

“Mari, vai vicina al cartello.” Alessandra mi guarda appoggiarmi svogliata al palo di legno dall’obiettivo della fotocamera.

Click.

“Sorridi, cazzo!” Si lamenta come al solito che nelle foto sono sempre seria.

Cosa ci sarà poi da sorridere?

Faccio una smorfia che dovrebbe fungere da manifesta felicità.

Click.

“Grazie per lo sforzo…”

Click.

Click.

“Mandami un bacio.”

Arriccio le labbra e le mostro il dito medio.

Click.

“Che deficiente…”

Click.

Click.

“Su Mari, mostrami le tue espressioni migliori.” Le piace ricordare con queste frasi che ha fatto un paio di servizi con modelle professioniste.

Io però non lo sono. Mi giro e chinandomi leggermente mi abbasso braghini e costume e protendo verso l’obiettivo la mia “espressione” migliore. “Così va bene?”

Click.

Click.

Click.

Abbassa di qualche centimetro la macchina e si guarda intorno, per accertarsi che non stia sopraggiungendo nessuno.

“Dai, cretina,” bisbiglia, “allora fammi vedere tutto l’arsenale…” e indica le mie pudenda.

Mi volto di nuovo verso di lei, con braghini e costume ancora a metà coscia.

Zooma sul mio pube.

Click.

Click.

All’arte non si comanda. Ad Alessandra tanto meno. Mi sfilo la canottiera ed il pezzo superiore del costume e li appendo ad una delle tante frecce del cartello.

Click.

Click.

Click.

Click.

“Infilati qualcosa dentro, come l’altra volta…”

Click.

Click.

Click.

“Ecco, brava, così.”

Click.

Click.

Click.

Mi faccio prendere la mano.

Click.

Click.

Ci prendo gusto…

Click.

Click.

Click.

Click.

“Oh cazzo…”

La famigliola spunta dalla curva anticipata dal proprio chiacchiericcio di pochi, troppo pochi secondi, e mi sorprende così, carponi, con il ramo fiorito introdotto nel retto.

“Guarda mamma!” Il dito del giovane virgulto punta nella mia floreale direzione. “Quella signora ha la coda del pavone!”

Alessandra vorrebbe scattare ancora, ma i singhiozzi del suo incontenibile sghignazzare proprio non glielo permettono. Mentre la madre trascina il figlioletto cercando di tenergli la testa girata verso un boschivo vedere più adatto alla sua età e il di lei marito ne approfitta invece per memorizzarsi ben bene la scena a futura memoria, Alessandra riesce finalmente a premere il pulsante.

Click. Con incantevoli lacrime agli occhi.

II

La sferetta della mia biro scorre sul foglio.

I raggi del sole che si infilano come lame incandescenti nella boscaglia mi surriscaldano la spalla e il braccio. Ma ho altro a cui pensare ora.

L’odore di resina si mischia a quello di salsedine.

Ad Alessandra piace l’idea ch’io scriva in tempo reale quello che mi sta facendo.

Abbiamo incrociato poche anime scendendo l’ultimo tratto di sentiero.

Ci siamo fermate qualche minuto fa, esauste e sudate.

Il mare è da qualche parte sotto di noi. Io sono seduta su una grossa pietra.

Alessandra è inginocchiata tra le mie gambe.

Intorno a noi migliaia di cicale.

I suoi avambracci mi obbligano a tenere le cosce divaricate.

Le sue dita mi tengono aperte le labbra.

La sua lingua mi solca esperta.

Si ferma un attimo per ripetermi che ho sempre un ottimo sapore.

Le parole mi escono sempre più a fatica. Il mio corsivo si fa alquanto incerto.

Mi blocco più volte, rapita dalle sensazioni intense, ma ogni volta lei se ne accorge e si ferma.

Bastarda.

Ora ha ricominciato. La sua chioma che si muove sotto di me sembra così docile… Non sembra l’amante del sesso violento che invece è.

Lo so che non resisterà ancora molto alla tentazione di stringermi tra i denti il clitoride.

Ma è sempre la stessa storia: a lei eccita farmi male, a me eccita sapere che la eccito mentre me lo fa…

L’urlo mi esce improvviso e fragoroso. Qualcuno là sotto avrà certamente voltato il capo cercando la nostra direzione. Rimaniamo così a lungo, io che tremo, e scrivo, affondando le dita nella sua chioma senza il coraggio di spingerla via e rischiare così un’ancor più dolorosa pizzicata, e lei, col suo ghigno nascosto tra le mie gambe e il piacere, ne sono certa, tra le sue.

III

L’odore di cocco della crema abbronzante si spande sulla spiaggia intorno a noi. Sento il palmo unto scendere tra le scapole e chiudo gli occhi godendomi il massaggio. È il suo modo di chiedermi scusa.

È a cavalcioni sulle mie cosce. Le sue mani si spostano sui miei fianchi.

Un gruppetto di ragazzi è a dall’altra parte della piccola cala, a una trentina di metri. Ogni tanto scherzano tra loro a voce alta; le loro grida smorzate si sovrappongono per pochi secondi all’ipnotico sciabordio delle onde contro la rena.

Le uniche altre persone presenti stanno prendendo il sole su una barca a vela in rada e un tipo è in acqua con maschera e boccaglio.

Le dita di Alessandra sfiorano l’orlo del pezzo sotto del mio costume (l’altro giace già accanto a noi, sul telo) e vi si insinuano abbassandolo.

Si starà sicuramente guardando intorno per verificare se qualcuno ci sta osservando mentre mi scopre del tutto le natiche.

Pur non vedendola in faccia indovino il ghigno che deve esserle apparso dopo aver affondato una mano e constatato la mia eccitazione ancora insoddisfatta.

Il suo massaggio si fa più circoscritto.

Mi godo le pressioni circolari sui glutei, tra le cosce, all’inguine, fin dentro il mio sesso. Lì, prevedibilmente, si accanisce. Senza mettersi troppi problemi usa tutte le dita che riesce per ottenere ciò che vuole.

Il paradiso si fa più vicino.

Se si ferma anche stavolta vado dal ragazzetto più vicino e, giuro su qualsiasi entità superiore voi crediate, lo prendo per mano e gli lascio carta bianca.

Per fortuna è un tormento diverso dall’inappagamento quello che dev’esserle venuto in mente.

“Abbiamo uno spettatore…” sussurra senza fermarsi. Apro di malavoglia le palpebre e cerco colui che presumibilmente dovrei ringraziare.

È l’uomo in acqua. Si è avvicinato alla riva e attraverso il vetro bagnato della sua maschera non sta più guardando le nascoste creature del mare, ma noi, ben più esposte. Probabilmente anche a qualcuno dei ragazzi là in fondo interessiamo; chissà se riescono a capire da quella distanza cosa stiamo facendo. Richiudo gli occhi.

La destra della mia compagna mi stringe ora la natica e il suo pollice penetra nel mio didietro, sempre disponibile come piace a lei. L’altra mano credo sia ormai interamente in me, o perlomeno la sensazione è quella, e il suo movimento è energico, frenetico.

I miei gemiti stanno aumentando di volume. Si disperdono nell’aria calda, arrivando forse a qualche orecchio sottovento.

“Mi sa che non è l’unico a guardarti…”

Le mie palpebre rimangono chiuse. In un remoto anfratto della mia mente c’è la consapevolezza che dopo me ne pentirò, ma ora tutta la mia volontà sta urlando di lasciarla continuare.

Non riesco a contenermi, non più ormai. Cerco di trattenerlo ancora un po’, ma dopo pochi attimi dilatati il mio corpo risponde ai movimenti forsennati della mia personale aguzzina, e si contrae mentre il piacere deflagra, finalmente libero.

“Scuse accettate…” riesco a sussurrare.

“Aspetta a dirlo.”

Sento le sue dita fuoriuscire dalle mie intimità, spostarsi sui miei fianchi, scendere lungo le gambe e sfilarmi completamente il costume. Ancora stravolta dall’orgasmo non provo nemmeno ad oppormi.

Ma non è finita. Si muove velocemente al mio fianco, afferra i bordi del telo su cui sono sdraiata e dà uno strattone con tutta la sua forza verso l’alto. Rotolo sulla sabbia imprecando e mi ritrovo come una tartaruga ribaltata che inebetita non riesce a trovare i movimenti giusti per riequilibrarsi. Il seno e il pube, già più chiari rispetto al resto dell’epidermide, sono in bella vista. Cerco istintivamente di coprirmi con le mani, poi ne allungo una cercando di rimpossessarmi del telo, ma Alessandra è già balzata lontana. Si infila ridendo lo zaino e si allontana a passi veloci portandosi via tutto e lasciandomi lì nuda, insabbiata e con il sesso ancora fradicio.

Corre sulla sabbia e ride di gusto, attirando l’attenzione anche dei più distratti.

Sollevo il busto e le ginocchia e mi rannicchio il più velocemente possibile abbracciandomi le gambe.

Rimango lì seduta illudendomi di riuscire a nascondere l’innascondibile per dilatatissimi minuti.

Mi guardo intorno: ovviamente adesso tutti mi stanno fissando. Uno dei ragazzi fischia e un altro urla una parola nel suo dialetto, di cui immagino facilmente il significato.

Istintivamente scatto in piedi, corro verso l’acqua e mi ci immergo. L’apneista deve aver pensato ad un miracolo. È a pochi passi da me e nemmeno finge di star scrutando nella mia direzione per caso. Se non si stava masturbando prima, lo sta facendo sicuramente ora.

Imbarazzata esco e faccio l’unica cosa che potrei fare: mi incammino a testa bassa, tutta bagnata, dietro ad Alessandra, che mi sta aspettando all’inizio del sentiero.

Con la coda dell’occhio vedo più di uno smartphone alzato a immortalare la scena.

Ovviamente, appena sto per arrivarle vicino, Alessandra riparte. Malgrado il male ai piedi che mi procurano sassi e rami spinosi cerco di aumentare la velocità, ma lei accelera di conseguenza senza farsi mai raggiungere. E non serve a niente neppure insultarla o implorarla; so già che rimarrò completamente nuda fino alla strada asfaltata; se il gioco la diverte forse anche alla fermata della corriera. Non oso pensare oltre.

La vegetazione si fa sempre più alta. Spero solo di non incontrare nessuno lungo il percorso. È questo che sto pensando nel momento in cui mi arrivano alle orecchie le loro voci. Se non fosse impossibile giurerei che ha congegnato tutto Alessandra. La sento salutarli tutta contenta. Il primo che vedo spuntare da una delle tante curve è ancora girato ad ammirarne le forme posteriori dopo averla incrociata e ancora non ha idea di cosa lo aspetti quando raddrizzerà la testa verso di me.

Lo fa mentre Alessandra ritira fuori la sua macchina fotografica, si gira puntandomela contro e accanto a lei spuntano anche tutti gli altri marmocchi, tutti con lo stesso ridicolo e fiero abbigliamento ed ora gli stessi occhi spalancati.

Ma per Dio, penso diventando più rossa dei loro fazzoletti, una volta gli scout non andavano in montagna?

Click.

Click.

Click.

Click.

Questa voce è stata pubblicata in Storie di vita e contrassegnata con , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento