Luppolo

Simone mi dice che stamattina ha commesso “un grosso errore”.

Ci conosciamo da circa un anno. È stato uno dei miei primi fan (così si è sempre definito lui stesso) e uno dei pochissimi che ho accettato d’incontrare. Mi aveva affascinato raccontandomi di come avevo contribuito a migliorare la sua relazione con la fidanzata rendendo “speciale” la loro sfera sessuale.

Aveva iniziato dopo una delle mie prime storie. Ispirato dalle mie parole aveva comprato un vibratore telecomandato e grazie al suo entusiasmo contagioso (dote non comune per cui mi è piaciuto fin dalla prima stretta di mano) era riuscito a convincerla ad utilizzarlo in pubblico. Erano stati in un negozio d’alta moda e poi in un pub, da lui descritto come “pieno di testosterone”. Mi descriveva le reazioni della ragazza all’azionamento della vibrazione, e le sue espressioni mentre godeva cercando invano di passare inosservata, con le mie stesse parole, senza nemmeno rendersene conto.

Qualche giorno dopo le aveva chiesto di spogliarsi in automobile, mentre lui guidava (tra l’altro nella stessa autostrada in cui anch’io ho avuto la mia corrispettiva avventura) e dopo alcuni chilometri in cui avevano constatato quanto effettivamente i camionisti siano attenti a questo genere di cose, aveva accostato in una piazzola e sempre ispirato dalle mie esperienze – la più estrema – l’aveva bendata. Era ripartito, sempre più eccitato. Lei rideva, meno imbarazzata di quanto Simone si fosse aspettato. Alla fine, senza dirle niente, era entrato in un autogrill e aveva lentamente sfilato in mezzo alle tante persone. Solo quando lei aveva sentito l’auto fermarsi e il finestrino scendere non aveva resistito e si era abbassata la benda, ed era diventata paonazza ritrovandosi a fianco due benzinai che la fissavano divertiti (ma il termine “divertiti” non credo sia in realtà il più appropriato).

Raccontava e io ridevo, sinceramente divertita come raramente mi capita. Siamo diventati amici, e un po’ “complici”, così, dandoci ogni tanto appuntamento sempre in questo stesso bar, dove Simone mi tiene aggiornata su tutte le situazioni erotiche che riesce a ricreare, svelandomi ciò che non avrebbe mai creduto lei acconsentisse a fare o lamentandosi dei limiti che sa di non poter superare (a lui piacerebbe molto vederla far l’amore con un’altra ragazza, ma sa che la cosa le è proprio inconcepibile; e non tanto per il rapporto omosessuale in sé, quanto per l’intrinseco “tradimento” del partner: le piace giocare, ma dà per scontato che ogni tipo di eccitazione e di relazione sia solo tra loro due, coppia salda, sicura e che non ha alcun bisogno – o voglia – di terzi).

Ordiniamo due birre medie e poi lui prosegue il racconto dell’ultima loro emulazione di questa mattina, che rischia a quanto pare di essere stata l’ultima definitivamente. “Volevo farle provare quella cosa della lavatrice…” Si riferisce all’accenno che ho fatto l’anno scorso al mio modo di masturbarmi poggiando il pube sull’angolo dell’elettrodomestico durante la centrifuga. “Ha fatto una faccia quando ha sentito come le tremava tutta! Si è bagnata in un secondo, roba da non credere…” Ci credo eccome, invece. “E io ne ho approfittato… Le ho sollevato il vestito e ho iniziato a massaggiarle le chiappe. Dovevi sentire come mugolava… Io allora piano piano gliel’ho messo dentro, nel didietro…”

“Capisco. Me l’hai detto più di una volta che lei non ama molto i rapporti anali…”

“No, no aspetta, non hai capito! L’inculata a lei, in quel momento, andava anche bene… Era troppo su di giri per non apprezzarla! Godeva di brutto mentre glielo spingevo dentro. Una roba bellissima. Meglio di qualsiasi altra cosa abbiamo mai fatto…”

“E il grosso errore allora qual è stato?”

“Mentre venivo l’ho chiamata Marinella…”

Lo guardo stupita. “Cioè… tu stavi pensando a me?”

Fa sì con la testa, con un’aria seria che non gli ho mai visto. “Valentina s’è incazzata come una bestia…” Mi guarda. Si aspetta una dei miei pensieri profondi e illuminanti.

“Oh merda!…”

Dopo qualche decina di secondi di imbarazzante silenzio cambia discorso e mi chiede se ho più rivisto Alina, ma in realtà ha altro per la testa e infatti neanche ascolta la mia risposta.

Mi interrompo. Lo osservo: è dolce nel suo dolore.

“Vado un attimo in bagno…”

Mi alzo e faccio i pochi metri che ci separano dalle porte delle toilette. Spingo sulla maniglia e sento la sua voce attraversare il locale: “È quello degli uomini!”

Guardo l’uomo stilizzato della targhetta e poi quello reale, Simone, seduto al tavolino. Gli faccio un sorrisetto che vorrebbe essere malizioso ed entro lo stesso.

Aspetto quasi dieci minuti, inutilmente.

Torno alla fine al mio posto, davanti a lui che giocherellando nervosamente con il suo bicchiere vuoto mi ripete sconsolato che oggi ha proprio fatto un grosso errore.

Eh no, mio caro Simone. Oggi in realtà, di grossi errori, ne hai fatti due.

 

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