Guarda che sono sicura (cap. 1)

“Se ho ragione io”, alzai il tono di voce, irritata, “ti lasci dare venti cricchi sui testicoli!”

Loris soppesò la sfida. “Va bene,” rispose calmo dopo qualche secondo, “ma se ho ragione io tu cosa fai?”

“Tutto quello che vuoi!”

“Ok. Allora se ti sbagli decido io come ti vesti per il viaggio. Ci stai?”

“Certo che ci sto!” Tanto sapevo che aveva torto.

Aveva ragione. Wikipedia lo sentenziava insindacabilmente.

“Questa qui.” Tirò fuori dall’armadio una delle mie minigonne più corte; non la indossavo da almeno dieci anni, per adulto pudore. Me la porse. Era davvero ridotta all’essenziale.

“Dici davvero?” Annuì malgrado il mio tono mesto. “Ma avrò un freddo cane…”

“A far vedere le gambe d’estate son buone tutte.”

La indossai. “Sì, ma non così…” Ne tiravo le estremità, con il solo risultato di scoprire il mio intimo (anche questo scelto da lui, roba da sexy shop, comprato per le occasioni “speciali”) dalla parte opposta.

“Per tenerti calda ti concedo questo.” Mi allungò il maglioncino iperaderente a maniche lunghe che normalmente portavo sotto la tuta da sci. Portato senza null’altro (“non ci pensare neanche”, mi disse non appena mi vide prendere dal cassetto il reggiseno) era una seconda morbida pelle decisamente indecente. Mi avvolgeva il seno evidenziandone le forme; i capezzoli non potevano certo passare inosservati, soprattutto se inturgiditi dal freddo che fuori mi aspettava.

Passò poi in rassegna tutte le mie scarpe confrontandone l’altezza dei tacchi per assicurarsi che non gli scappassero quelle più “vertiginose”. La scelta ricadde su un paio di polacchine a cui non avevo resistito vedendole in vetrina, ma che si erano rivelate oltremodo impegnative.

Appena usciti in strada, ispirato dal “contrasto della mia luminosa licenziosità con il grigiume metropolitano”, parole sue, volle farmi una foto con il cellulare, affermando che alla prossima scommessa persa me l’avrebbe fatta mettere come profilo di Facebook.

In realtà la volta successiva, cioè poche ore dopo all’autogrill, la ragione risultò mia e lui si beccò i suoi venti sacrosanti cricchi ai testicoli. Fu un’enorme soddisfazione vederlo non riuscire a trattenere due lacrimoni mentre risaliva in macchina riallacciandosi i pantaloni.

Mi fregò però nuovamente poco dopo il nostro arrivo e per un mese esatto quella posa spudorata mi identificò pubblicamente. Sono convinta che molti amici e anche un buon numero di parenti se la siano salvata con notevole piacere. Mai avuto tante richieste di amicizia come in quel periodo. Arrossisco ancora ripensando a quanto devo essere sembrata… facile, diciamo.

“Vieni, vieni… Facciamoci mostrare anche questa!” Bastardo. Aveva sempre detestato farsi trascinare per negozi di mobili e la sua partecipazione alla nostra ricerca si limitava a qualche sbuffo e al disinteresse più totale. Fosse per lui dormiremmo ancora sui materassini gonfiabili e avremmo dei pallet per armadi! Ora invece aveva deciso che aspettando l’ora in cui sarebbe stata disponibile la nostra camera non c’era modo migliore di passare il tempo che non fosse far visita ad uno dei più grandi negozi della regione, lì a pochi chilometri.

“Questa è più moderna…” Il ragazzo con la maglietta rosso fuoco per essere facilmente individuato – anche se attiravo decisamente molta più attenzione io – non riusciva a trattenere le continue occhiate al mio corpo. Si impappinava distratto dalla nudità delle mie gambe e non riusciva mai ad alzare lo sguardo oltre il mio petto. Loris si godeva il suo trionfo, cercando di esibire il suo trofeo, la sottoscritta, il più possibile.

Chiese informazioni ad ogni singolo commesso e si volle pure fermare al bar interno solo per il gusto di vedermi appollaiata su uno di quei maledetti sgabelli, sicuramente non progettati da una donna.

Penso non ci sia stata una sola persona lì dentro che non abbia visto le mie intimità insufficientemente coperte dal filo sottile del mio indecente perizomino.

Non resistette fino all’hotel. Iniziò a palparmi le cosce appena messa in moto l’automobile e meno di due rotonde dopo aveva già le dita dentro di me.

Accostò in una via senza vita di quella zona industriale e mi amò lì, senza doversi nemmeno prendere troppa briga per spogliarmi.

Solo alla fine, ridendo lui e sbiancando io, ci accorgemmo della telecamera puntata proprio contro il nostro parabrezza.

Questa voce è stata pubblicata in Storie di vita e contrassegnata con , , , , , , , , . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento